Contrada Pila

Anello giallo

QUOTA: 1319 m. s.l.m.

È collocata nel mezzo della Val Lunga, a breve distanza dal torrente. Il toponimo indica la presenza di opifici idraulici, che erano utilizzati per la pulizia di vari cereali e la lavorazione delle castagne. Da un documento del 1780 risultano residenti quattro famiglie e ventitre abitanti. Come si osserva anche nel resto della Val Tartano, a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, nel generale sviluppo economico del dopo guerra, è stato avviato un processo di ammodernamento edilizio che, in certi casi, ha radicalmente modificato l’antica struttura urbanistica e architettonica; in molti altri, causa l’esodo sopravvenuto, non ha avuto tempo di operare. Anche la Pila, è stata oggetto di decisi interventi di ristrutturazione e nuove costruzioni e la parte antica risulta poco riconoscibile. Forse, la drastica operazione di adeguamento attuata, oltre a sottolineare l’evidente radicamento ai luoghi, ha ritardato il definitivo esodo storico verso il fondovalle, avvenuto nel 2005, quando ancora vi risiedevano tre famiglie e otto persone. È rimasta una sola bàita (stalla-fienile), datata 1877, con il fienile in legno a blokbau ed il tetto in spesse beole locali di cui una di dimensioni inconsuete (il peso di queste coperture può raggiungere i 400/500 kg a mq). Una lapide in marmo bianco ricorda l’evento calamitoso del 27/09/1885 dove morirono cinque persone in seguito all’esondazione del torrente Tartano. Un dato distintivo della contrada è infatti la sua particolare esposizione agli eventi calamitosi, sia causa il suo posizionamento sul fondovalle, vicino al torrente (è ancora vivo il ricordo dell’alluvione nel luglio 1987), sia perché è lambita dall’accumulo di una valanga tra le più grosse della Val Tartano (ul vendöl di Caurìi che confluisce in quello della Fràcia), scesa l’ultima volta, in varie fasi, nell’inverno 1986; in quell’occasione andò distrutta una baita a blokbau datata 1805 (la tipologia valanghiva più pericolosa è quella di neve polverosa “dé urìif”, mentre quella di fondo, di neve pesante che segue l’andamento del canale di scorrimento senza strabordare, è chiamata “dé mòsc”). Gli antichi residenti avevano acquisito una conoscenza e sensibilità particolari alle condizioni del manto nevoso e la pericolosità dei pendii; molto rari risultano nella memoria orale le vittime di valanghe.